Il Festival della Valle d'Itria porta a Matera il Don Chisciotte di Paisiello ambientato in un manicomio e messo in scena in una inusuale location.
Il secondo centenario della morte di Giovanni Paisiello è l’occasione per il 42° Festival della Valle d’Itria di presentare due titoli pressochè sconosciuti del grande compositore tarantino ingiustamente dimenticato: il Progetto Paisiello 1816-2016 porta in scena Don Chisciotte della Mancia e La grotta di Trofonio.
Il Don Chisciotte, su libretto di Giambattista Lorenzi, è una commedia per musica in 3 atti che andò in scena per la prima volta al Teatro dei Fiorentini di Napoli nel 1769, con un Paisiello appena ventinovenne, ma con alle spalle una ben proficua carriera musicale. Tra l’altro quest’anno ricorre anche il quarto centenario della morte di Miguel De Cervantes, a cui si ispirò Apostolo Zeno per un suo libretto del 1719, dandogli una rilettura più umoristica. Lorenzi e Pisello partendo dal testo di Apostolo Zeno riescono a dare un taglio decisamente partenopeo che risultò molto gradito al pubblico napoletano; ovviamente non siamo ai livelli di altri capolavori del compositore, ma il Don Chisciotte è una piacevole sorpresa. Un testo molto poetico, giocoso e spesso ilare a cui si unisce una musica piena di inventiva, lirica e con raffinatissima orchestrazione.
Lo spartito viene reso poi in modo denso e brillante dal direttore Ettore Papadia alla guida de l’ensamble dell’Orchestra ICO della Magna Grecia di Taranto. Ma la particolarità di questo allestimento sta nel luogo in cui viene rappresentato: non un teatro, non una piazza, ma nella masseria fortificata San Francesco a Matera, in collaborazione con il Festival Duni, in una location veramente suggestiva. La musica di Paisiello ha trovato spazio in un luogo della vita quotidiana, come è la locanda in cui lo stesso Don Chisciotte e il suo fedele scudiero Sancho vivono le avventure descritte; la scenografia naturale, poi, della splendida città di Matera – che fa spostare il baricentro del Festival – può vagamente rimandare a certi paesaggi del centro della Spagna, la Mancia appunto. Lo spettacolo ripropone la formula “Opera in Masseria”, dopo il successo del Barbiere di Siviglia lo scorso anno: la rappresentazione di un titolo di repertorio in un contesto architettonico inusuale e leggermente ridotta.
Davide Garattini Raimondi propone un Don Chisciotte contestualizzato ai giorni nostri. La regia si concentra molto sulla follia del protagonista, trasformando il luogo dell’incontro dei vari personaggi in un manicomio in cui Don Chisciotte vive le sue visioni assecondato da tutti gli altri che si fanno beffe di lui. Garattini Raimondi, pur in uno spazio limitato e in contesto anomalo e senza scene accessorie, riesce a far districare al meglio i cantanti, tirando fuori ogni modo per far divertire il pubblico, pur non nascondendo il lato triste della pazzia e della solitudine del protagonista. Garattini Raimondi è riuscito a far divertire con raffinata eleganza e a coinvolgere il pubblico; ma la sua lettura è anche riflessiva e trasforma le nevrosi di Don Chisciotte in nevrosi del mondo contemporaneo, come la dipendenza dal telefono cellulare in contrapposizione al desiderio di lettura del protagonista. Contemporanei i costumi di Giada Masi che si collegano agli intenti della regia.
David Ferri Durà ha impersonato Don Chisciotte tormentato dalla pazzia; ottimo attore e bravo cantante, si è immedesimato pienamente nel personaggio con una voce pulita e moderata. Salvatore Grigoli è stato un incisivo e poliedrico Sancio Panza, dalla voce corretta e dalla verve innata. Efficace e dalla voce estesa con acuti puliti l’israeliana Shiri Hershkovitz nella Contessa che si affianca ad Alessandra Della Croce (la duchessa), entrambe valide sulla scena e nel canto. Nico Franchini (Don Calabrone) e Iosu Yeregui (Don Platone) hanno sostenuto con ironia e buone doti canore i ruoli dei due innamorati sbruffoni; si segnala Yeregui per una innata dote di mattatore. Brave anche Rosa García Domínguez (Carmosina), la serva che si finge Dulcinea, Alessandra Torrani (Cardolella) e Cristina Fanelli (Ricciardetta) le servette della locanda. La parte vocale è in collaborazione con l’Accademia del Belcanto Rodolfo Celletti.
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